Una mediazione emotivamente informata

Una mediazione emotivamente informata

In quanto mediatori, raccomandiamo ai genitori di controllare le loro emozioni nel mezzo della crisi della separazione e del divorzio. Vogliamo che i genitori guardino al futuro e negozino un accordo legale e una nuova relazione co-genitoriale, che costituirà a lungo termine il miglior interesse dei loro figli. Non ho dubbi che questi siano i migliori traguardi per le famiglie dopo il divorzio. Decenni di ricerche condotte negli Stati Uniti mostrano come i bambini di famiglie divorziate siano psicologicamente meglio adattati se i loro genitori li proteggono dal conflitto tra gli adulti e se i bambini mantengono una relazione affettuosa e autorevole con entrambi i genitori (Emery, 1999).
I mediatori devono, tuttavia, saper anche riconoscere la potente, e spesso irrazionale, corrente di emozioni che esiste nel divorzio, se sperano di essere efficaci nell’aiutare i genitori a prendere buone decisioni. Rabbia, dolore, sofferenza, conflitto e lutto sono reazioni naturali e comprensibili al tradimento e alla perdita del divorzio, e le emozioni spesso costituiscono la motivazione che spinge i genitori ad agire in modi che non sono razionali. Tuttavia i mediatori chiedono ai genitori di non agire emotivamente nel divorzio (Emery, 2004). Se vogliamo aiutare i genitori a raggiungere il difficile obiettivo di contenere sentimenti che possono sembrare travolgenti, i mediatori devono essere consapevoli e sensibili all’andamento e alla variabilità delle emozioni nel divorzio.
Circa venti anni fa, ho sviluppato un metodo che ho chiamato mediazione emotivamente informata. La mediazione emotivamente informata riconosce il potere delle emozioni nel divorzio, ma il metodo costituisce anche un approccio di soluzione dei problemi a breve termine. La mediazione emotivamente informata è focalizzata sulla soluzione di conflitti legali, non sul condurre una terapia familiare. Ad ogni modo, il mediatore usa la conoscenza di emozioni potenti nel divorzio per educare i genitori non solo circa le questioni legali e i bisogni dei figli, ma anche riguardo alle loro proprie imprevedibili emozioni. Una descrizione dettagliata della mediazione emotivamente informata è disponibile in lingua inglese (Emery, 1994) e italiana (Emery, 1998), e una guida self-help ai temi del divorzio, della mediazione e delle complicazioni emotive ed è attualmente disponibile in inglese (Emery, 2004).
Le ricerche hanno costituito una parte importante del mio lavoro sulla mediazione emotivamente informata, e i miei studi mostrano che la tecnica beneficia genitori e figli non solo per breve tempo dopo la separazione ma anche oltre, dopo dodici anni dalla soluzione della disputa. Dodici anni dopo che un breve percorso di mediazione si è concluso, i genitori che erano stati scelti casualmente per mediare la loro disputa sulla custodia erano felici dell’intero processo, lavoravano meglio insieme come co-genitori, e rimanevano più a lungo coinvolti nelle vite dei loro figli se paragonati a un gruppo di controllo formato da genitori che avevano continuato con i litigi e le negoziazioni legali (Emery et al., 2001). Questo articolo si focalizza sulla pratica della mediazione emotivamente informata, ma le mie ricerche pubblicate forniscono sostegno sia al metodo della mediazione sia all’obiettivo generale di contenere il conflitto e spingere quelli che prima erano partner a lavorare insieme come genitori anche nel mezzo dello sconvolgimento emotivo del divorzio.

Dolore e divorzio emozionale unilaterale
Forse la complicazione emotiva centrale per i genitori che divorziano è rappresentata dall’affrontare il dolore e le emozioni associate alla sensazione di perdita. Provare dolore è imprevedibile e gravoso nelle circostanze migliori, ma molte complicazioni rendono il dolore particolarmente acuto nel divorzio. Una complicazione riguarda le perdite molto diverse causate dal divorzio. Il divorzio comporta la perdita del tuo matrimonio, la perdita del tuo compagno, la perdita della tua famiglia (o quantomeno del tuo sentimento di “famiglia”, perché genitori e figli divorziati restano comunque una famiglia), probabilmente la perdita della tua casa, paura di perdere i tuoi figli e forse l’effettiva perdita di significative quantità di tempo con loro, la perdita di relazioni con molti amici e parenti; e speranze, e sogni per la tua famiglia, i tuoi figli e te stesso, infranti.

Un dolore complicato
Adulti separati e divorziati devono piangere tutte queste perdite, spesso senza comprendere pienamente perché le loro emozioni siano così incostanti, se qualcuno sappia cosa provano, se i loro sentimenti siano “normali”, o anche senza riconoscere che stanno soffrendo – o perché dovrebbero soffrire. Anche la solitudine può complicare il dolore nel divorzio. I genitori che divorziano in maniera “tipica” non possono appoggiarsi nella sofferenza l’uno all’altro per ovvie ragioni, e i genitori non possono (o non dovrebbero) affliggersi troppo con i figli che hanno bisogno di ricevere supporto da loro genitori e non di darglielo. L’adulto che divorzia può anche non essere capace di condividere il dolore con amici e famiglia. Quando perdiamo una persona amata a causa della morte, rituali culturali e tradizioni religiose portano supporto sociale, morale e pratico ai parenti del defunto. Quando perdiamo una persona amata a causa del divorzio, conflitto e incertezza possono causare l’allontanamento di amici e parenti piuttosto che il sostegno all’adulto che divorzia, e anche gli amici più vicini spesso falliscono nell’accostarsi alla profondità e alla durata del dolore nel divorzio. La più importante complicazione per il dolore nel divorzio, tuttavia, è la natura unilaterale di molte separazioni. Relativamente pochi divorzi sono reciproci e “senza colpa”, sebbene siano così registrati a livello legale. Invece, nella maggior parte dei divorzi, un partner vuole mettere fine alla relazione, mentre l’altro può disperatamente desiderare che continui. Questa dinamica implica che i partner occupino posizioni diverse sia riguardo al dolore sia riguardo le loro speranze per una futura relazione. Questo fatto, ovvio ma emotivamente complesso, causa molto conflitto, rabbia e sofferenza emotiva per quelli che prima erano partner, nel momento in cui devono relazionarsi l’un con l’altro per un’altra semplice ma emotivamente complessa questione: i genitori possono non essere più partner ma devono rimanere genitori.

Modello ciclico del dolore
Il dolore è una reazione alla perdita conosciuta ed emotivamente basilare. Anche gli animali soffrono. Teorici e clinici hanno sviluppato varie concettualizzazioni per descrivere il processo emozionale del dolore. Uno delle più conosciute teorie del dolore è il modello per stadi di Elizabeth Kubler-Ross (1969), una teoria che fu fortemente influenzata dal lavoro di John Bowlby e dalla teoria dell’attaccamento in generale. Secondo la Kubler-Ross (1969), il dolore attraversa una serie di cinque stadi, uno successivo all’altro, e precisamente:
– Rifiuto
– Rabbia
– Negoziazione
– Depressione
– Accettazione
Il modello a stadi del dolore di Kubler-Ross ha avuto molta influenza e ha aiutato sia i parenti di defunti sia i professionisti che se ne occupano a concettualizzare meglio il processo del lutto. Tuttavia, come specifico nel mio lavoro (Emery, 1998), Kubler-Ross non riesce a cogliere gli elementi chiave del dolore nel divorzio per una semplice ragione. L’autrice si concentra sulla perdita irrevocabile, per la maggior parte dei casi su pazienti affetti da cancro, a loro volta sofferenti per la loro morte imminente. In teoria il divorzio è sempre una perdita potenzialmente revocabile. Fantasie di riconciliazione sono abbastanza comuni tanto tra adulti divorziati quanto tra i figli di famiglie divorziate, e mentre la prospettiva che i coniugi separati tornino insieme può essere remota, adulti separati spesso si riconciliano, si riuniscono sessualmente e possono anche risposarsi dopo il divorzio.
La mia alternativa, il modello ciclico del dolore, si focalizza sul dolore come un processo continuo e apparentemente senza fine, di ritorno da un sentimento all’altro in una serie di emozioni. Come mostrato in figura 1, il mio modello di dolore implica una ciclicità tra tre insiemi generali di sentimenti: (1) amore o sentimenti amorosi (desiderio, speranza) che sono la motivazione per il coniuge separato a muovere verso quello che prima era il suo partner; (2) rabbia e sentimenti ad essa legati (furia, risentimento, frustrazione) che spingono il coniuge separato ad andare contro l’ex-partner; e (3) tristezza e altri sentimenti (depressione, ingiustizia) che motivano il coniuge separato ad allontanarsi dal coniuge (Emery, 1998).
Un esempio aiuta ad illustrare il modello. In un caso descritto più dettagliatamente nella mia guida per genitori (Emery, 2004), una professionista (un avvocato) che voleva disperatamente salvare il suo matrimonio mostrò l’intero ciclo di emozioni in un periodo di appena 15 minuti durante una terapia di coppia. Poche settimane prima di quell’appuntamento, il marito le aveva detto che voleva il divorzio, una dichiarazione che aveva spinto la moglie a cercare la terapia di coppia. Tentava disperatamente di salvare il suo matrimonio, e suo marito concordava nel dare al matrimonio “un’ultima possibilità”. Dopo circa venti minuti del nostro terzo incontro, la moglie disse al marito che ora aveva capito di aver fatto molti errori nel matrimonio. Lo amava profondamente, e avrebbe fatto di tutto per migliorare la loro relazione. Tristemente il marito rispose che, sebbene non volesse ferire lei e i loro tre figli, si era deciso. Voleva definitivamente il divorzio. Immediatamente la moglie gridò con furia: “Allora la pagherai! Non hai idea di quanto pagherai per avermi fatto questo!”. Tuttavia, pochi minuti dopo questo scoppio, la moglie stava piangendo istericamente, singhiozzando di non riuscire a credere che questo stesse accadendo. Nel corso di pochi minuti era passata attraverso le emozioni del dolore nel divorzio: amore, rabbia e tristezza.

Quando si supera il dolore?
Questa era solo la prima di centinaia di donne, che ci rivolgono una domanda molto importante: quando le persone superano il loro dolore? La mia prima risposta a questa domanda è che non usciamo mai completamente dal dolore. Il dolore è con noi sempre, e deve esserlo, perché la perdita è reale, come lo era l’amore che rende la perdita così dolorosa. La mia seconda risposta è che la maggior parte dei costumi culturali e religiosi presuppone che le persone soffrano intensamente per circa un anno dopo la morte della persona amata. Il dolore legato al divorzio generalmente dura più a lungo, almeno un anno o due. Questo perché il divorzio è potenzialmente revocabile e implica molte complicazioni pratiche, incluso il risolvere questioni legali, concentrarsi sui bisogni dei figli, e mantenere una forma di contatto o comunicazione con l’ex-coniuge.
La mia terza risposta alla domanda “quando si supera il dolore?” è che quando puoi sentire tutte e tre le emozioni allo stesso tempo – amore, rabbia e tristezza – sei tanto vicino a completare il tuo dolore quanto non avresti mai pensato di essere. Un adulto divorziato è giunto al termine della sua sofferenza quando lui, o lei, può arrivare a dire qualcosa sul genere: “Guardando indietro al mio matrimonio, mi sento triste per quello che abbiamo perso, per quello che avrebbe potuto essere. E, ad essere onesti, sono ancora arrabbiato con il mio ex per avermi fatto passare attraverso questa sofferenza. Ma mi ricordo anche i bei tempi. Se non altro, c’era abbastanza amore per creare due bellissimi bambini.”
La figura 2 descrive la concettualizzazione sottostante queste risposte.
All’inizio del processo, le emozioni di dolore sono intense, e un’emozione domina la sofferenza in qualunque momento. Quando questo tempo passa, le emozioni di dolore diminuiscono ed entrano nella fase in cui è possibile provare tutti e tre i sentimenti allo stesso tempo. Una parte della mia concettualizzazione, che non è illustrata nella figura, è la tendenza per alcune persone a rimanere bloccate su una sola emozione di dolore. Alcune persone si bloccano sulla tristezza, e rimangono depresse per lunghi periodi di tempo. Altre persone si bloccano sul’amore, e continuano a sperare in una riconciliazione. Infine altri si bloccano sulla rabbia, e sono cronicamente furiosi e pronti a dar battaglia con il loro ex-coniuge. Tutti e tre questi tipi compiono il loro percorso verso lo studio del mediatore, specialmente il tipo arrabbiato.

Chi lascia e chi viene lasciato: piangere perdite differenti.
Come ho precedentemente affermato, una delle grandi complicazioni del dolore del divorzio è che di solito un partner vuole che il matrimonio abbia fine, mentre l’altro spera che continui. Questa dinamica crea molti problemi differenti, inclusa la gestione del dolore. Sia chi lascia che chi viene lasciato perde il matrimonio, ma le loro perdite sono differenti in molti ed importanti aspetti. Il risultato è che nessuno dei due sembra capire come l’altro si senta.
Il dolore di un partner che lascia il matrimonio è analogo alla perdita che segue la morte di una persona amata dopo una lunga, cronica malattia. In entrambe le situazioni hai il tempo per prepararti alla perdita, quindi molto del dolore è dolore anticipatorio. Come qualcuno che comincia a soffrire una volta saputo che la persona amata ha una malattia terminale, il partner che lascia il matrimonio vive molta della sua sofferenza prima della separazione o anche prima di dichiarare che vuole la separazione.
Il coniuge che pensa di voler porre fine al matrimonio, non dichiara questo desiderio al partner la prima volta che il pensiero gli passa per la testa. L’idea viene rielaborata per un lungo periodo, talvolta anni. Le persone spesso discutono i loro sentimenti per il fallimento del matrimonio con gli amici, un terapista, magari un amante, e possono compiere diversi passi pratici per gestire la separazione imminente. I coniugi che anticipano il momento in cui lasceranno il matrimonio possono compiere azioni come trovare un nuovo lavoro, cercare un nuovo posto dove vivere, mettere da parte dei soldi in segreto, cercare il consiglio di un avvocato, o cominciare una nuova relazione. Come qualcuno che perde la persona amata per una lunga, cronica malattia, chi lascia è triste quando giunge la fine, ma prova anche un’altra, potente emozione: sollievo.
Tutto questo è molto, molto differente dal dolore che prova il partner che viene lasciato. L’analogia in questo caso è con qualcuno che si sia precipitato dalla persona amata seriamente ferita, ma ancora viva, in seguito ad un tragico incidente, ricoverata nel reparto emergenze di un ospedale. Le emozioni del partner che viene lasciato sono selvagge, intense e caotiche. Come la moglie della terapia di coppia descritta prima, la parte lasciata è piena di speranza in un primo momento, poi furiosa, infine disperata. La parte che viene lasciata ha poche probabilità di cominciare il processo di elaborazione della sofferenza in fretta o anche di riconoscere che i suoi sentimenti ne fanno parte. Questo perché, sebbene possa esserci solo una esile possibilità di salvare il matrimonio, nessuno può onestamente dire al partner lasciato che non c’è assolutamente più alcuna speranza. La riconciliazione è sempre una possibilità, anche se remota. Come qualcuno che attende il responso del dottore sull’amato ricoverato nel reparto emergenze, la parte lasciata vuole credere nel miracolo per il suo matrimonio. Non vuole lasciarlo andare.
Le differenti esperienze di dolore generano conflitto e incomprensioni tra chi lascia e chi viene lasciato. Chi lascia non riesce a capire perché il coniuge che ha lasciato sia così incostante, così irrazionale. Il lasciato non riesce a capire fino in fondo perché chi lascia sia così distante, così freddo. Ciascuno vuole che l’altro si senta come lui si sente, ma non accade, e non può accadere. Ciascun coniuge passa attraverso le emozioni di amore, rabbia e tristezza, ma chi lascia e chi viene lasciato provano sentimenti diversi in momenti diversi, con differente intensità, e con sensazioni diverse causate dal passaggio da un sentimento al successivo. Per chi lascia, il passare attraverso amore, rabbia e tristezza è provocato dai sentimenti di responsabilità, rettitudine e colpa. Per il partner lasciato, questo passaggio è spinto da sentimenti di speranza, dolore e rifiuto (vedi figura 3).

Il ruolo del mediatore nell’aiutare ad affrontare il dolore.
Come può un mediatore aiutare una coppia a superare il suo dolore? Nel rispondere a questa domanda, si deve essere chiari circa quale non è l’obiettivo. Il ruolo del mediatore non è quello di aiutare la coppia, uno o entrambi i partner, a risolvere il loro dolore. Aiutare una coppia per la perdita del loro matrimonio talvolta è compito della terapia familiare, un processo che io chiamo terapia del divorzio. Allo stesso modo, aiutare un paziente a risolvere o quantomeno ad affrontare in modo migliore il dolore spesso è una parte importante della terapia individuale con adulti separati o divorziati.
Passare attraverso il dolore può migliorare la salute mentale di ciascun partner e portare benefici anche alla relazione della coppia divorziata. Se una coppia riesce a divorziare emotivamente, gli aspetti pratici e legali del divorzio diventano molto più gestibili. Tuttavia risolvere il dolore è un obiettivo troppo ampio per la mediazione nel processo di divorzio, che, per definizione, è un processo di soluzione di problemi relativamente a breve termine. Ancora, il mediatore può e dovrebbe considerare il dolore, e se lo fa aumenta le possibilità di raggiungere con successo un accordo. In genere, è preferibile sollevare problemi legati al dolore durante un incontro individuale per evitare il conflitto e risparmiare ai coniugi il dolore di parlare delle proprie difficili emozioni davanti al partner. Alcuni dei modi in cui i mediatori possono affrontare il dolore nel corso di una mediazione emotivamente informata sono:

  • riconoscere il dolore del coniuge, incluse le differenze tra chi lascia e chi viene lasciato;
  • aiutare i coniugi a comprendere il loro dolore, incluso l’aiutarli a riconoscere il fatto che loro stanno soffrendo e stanno rivivendo le emozioni e il processo della perdita. Specialmente il partner lasciato può trarre beneficio da questo insight;
  • aiutare i coniugi a comprendere il dolore l’uno dell’altro, incluso l’aiutarli a vedere che il loro partner sta soffrendo ma a modo suo. Soprattutto chi lascia ha probabilmente bisogno di rendersi conto che il partner lasciato è comprensibilmente più indietro nel processo di elaborazione della perdita;
  • entrare in relazione empatica con i sentimenti di ciascun coniuge, specialmente quelli del lasciato che più facilmente non si sente capito nella mediazione. Dopo tutto, la mediazione è pensata per facilitare la fine della relazione, cosa che chi lascia vuole, ma chi viene lasciato no;
  • normalizzare e legittimare il dolore di ciascun coniuge, in particolare i sentimenti del partner lasciato, ma chiarendo l’obiettivo della mediazione e suggerendo che ciascuno può trarre beneficio dal parlare dei propri sentimenti con un terapeuta, un amico, o un religioso;
  • in generale, incoraggiare entrambi i coniugi a guardare oltre la loro rabbia e indirizzarsi versi emozioni più profonde e oneste.

Ho trattato tutte queste questioni nel mio libro per mediatori (Emery, 1998) così come nella guida per genitori (Emery, 2004), ma l’ultimo punto merita di essere qui brevemente trattato. La rabbia è un’emozione che può coprire i veri sentimenti, che sono più favorevoli sia per la mediazione che per la crescita personale. Che cosa intendo con questo? Posso spiegare meglio la mia idea con un esempio che di solito uso in mediazione e in terapia.
“Si è mai alzato nel cuore della notte per usare il bagno?” chiedo al mio paziente “e ha sbattuto l’alluce contro un mobile?” la risposta, naturalmente, è sempre sì. “Che cosa ha fatto?” chiedo allora. Invariabilmente i miei clienti mi raccontano di essersi messi a inveire contro il mobile; alcuni di loro l’hanno pure preso a calci. Allora domando: “Perché ha urlato al mobile?” i miei imbarazzati clienti di solito ridono, riconoscendo di essersi comportati in maniera irrazionale. Allora chiedo: “Cosa sentiva veramente?”, i miei clienti quasi sempre rispondono: “Dolore”.
La maggior parte delle persone capisce il mio messaggio nel momento in cui arriviamo a questo punto del semplice ma disarmante esempio. Altrimenti vado avanti a spiegare come la rabbia sia una reazione naturale, biologicamente fondata, al dolore, ma che la sofferenza è un’emozione più onesta e profonda. Spingo i miei clienti a non tirare fuori la rabbia che comprensibilmente provano a causa del loro divorzio e verso l’ex-coniuge. Voglio invece che riconoscano il profondo dolore che li muove e che sta sotto la rabbia. Se i coniugi si concentrano sulla loro sofferenza più profonda invece che sulla rabbia di superficie, inoltre, si trovano in una posizione migliore da cui impedire alla rabbia di interferire con tutte le questioni più importanti da affrontare: negoziare un accordo che si basi sull’interesse dei figli piuttosto che sulla rabbia, dolore e sofferenza dei genitori.
La rabbia nasconde molte potenti emozioni nel divorzio, incluso il dolore, la perdita, la paura e il desiderio (Emery, 1998, 2004). In tuttii casi, tuttavia, il punto basilare del pervenire ai sentimenti più profondi è lo stesso illustrato nella semplice ma efficace storia di un alluce sbattuto contro un mobile.

Nuovi confini per una nuova relazione
Gli incerti confini della relazione tra ex-coniugi che rimangono genitori sono strettamente legati al dolore e agli ineguali desideri di chi lascia e di chi viene lasciato. I confini sono le regole che definiscono una relazione come distinta dalle altre relazioni. Tali regole sono di solito non dette, e le persone possono non rendersi conto che i confini esistono finché questi non vengono violati. In un workshop negli Stati Uniti, ho usato il confine dello spazio fisico per illustrare questo concetto. Stavo molto vicino ai partecipanti al workshop, e la mia violazione dei loro confini faceva sentire a disagio sia i singoli individui che l’intero auditorio. La stessa dimostrazione, tuttavia, è fallita ripetutamente nei miei workshop in Italia, perché gli Italiani si sentono più a loro agio con il contatto fisico e la vicinanza. Gli italiani hanno confini interpersonali, ne sono sicuro, ma sono troppo timido e inesperto per sapere dove sono!
Una coppia negozia confini molto sottili e complessi durante il corso di una relazione; per esempio, quando l’affettuosità in pubblico sia apprezzata, quali dettagli della vita in comune non debbano essere discussi fuori dal matrimonio (ad esempio la vita sessuale della coppia, i loro guadagni, o i sentimenti negativi che provano l’uno per l’altro o per le reciproche famiglie), e quali cose possano essere fatte con l’altro che siano inaccettabili invece con gli amici (ad esempio prendere i soldi dal portafogli dell’altro, o immischiarsi nelle attività dell’altro). Tuttavia quando una coppia si separa, non sanno più dove sono i confini. Possono telefonarsi l’un l’altro a qualunque ora? Fermarsi inaspettatamente a casa dell’altro? Essere fisicamente affettuosi? Parlare dei loro problemi passati e presenti che una volta erano segreti?
Le coppie separate e divorziate devono negoziare nuovi confini nella loro relazione come chiunque altro fa per esperienza. È vero che i dettagli di un accordo di divorzio forniscono anche alcune linee-guida concrete e formali per i confini della nuova relazione, come quali decisioni sui figli la coppia debba condividere. Tuttavia, la più complicata dinamica di base relativa alla definizione di nuovi confini rimanda al problema dei desideri ineguali di chi lascia e di chi viene lasciato. La parte lasciata più probabilmente desidera o confini molto stretti e intimi o molto distanti e rabbiosi. Al contrario, chi lascia vuole probabilmente confini che stanno a metà strada tra i due estremi. Avendo completato buona parte del percorso di elaborazione della perdita, chi lascia può sperare che la relazione si trasformi in amicizia. Si può capire come questa proposta sia dolorosa per la parte lasciata ricordandosi il proprio dolore e rabbia in risposta ad un simile comportamento da parte di qualcuno a cui si è detto “ti amo”, anche se questo è accaduto quando si era molto giovani.
Qual’è la strada normale per ridefinire i confini in seguito alla rottura di una relazione intima? Molte rotture romantiche che non coinvolgono bambini si concludono con una dichiarazione rabbiosa come “Non voglio vederti mai più!”. Una coppia senza figli, che sia sposata o meno, può continuare con queste minacce, e spesso lo fa. Anche due adolescenti possono non parlare l’uno con l’altro per mesi, anni, talvolta per sempre dopo la rottura. Molti adulti divorziati con figli mettono fine alle loro relazioni allo stesso modo, ma questo ha conseguenze molto negative per i figli. I genitori divorziano dal’ex-coniuge, ma nel tentativo di affrontare la loro perdita attraverso l’imposizione di confini molto lontani e rabbiosi, molti padri (e anche un buon numero di madri) spesso finiscono col divorziare dai loro figli. Sono convinto che questa sia la principale spiegazione del perché molti padri americani vedano così poco i figli dopo il divorzio (Emery, 1999).
Stabilire confini distanti e rabbiosi può essere emotivamente funzionale per l’individuo, in quanto dà il senso di una chiusura finale della relazione. L’ambiguità di una perdita potenzialmente revocabile diventa molto meno ambigua. Tuttavia, il mio punto di vista è che, se ci sono dei figli, non è possibile divorziare completamente. I figli legano insieme i genitori per sempre, e poiché i genitori non possono mettere fine a questa relazione, devono rinegoziarla.
Ma i genitori sono capaci di ridefinire nuovi confini nella loro relazione, in modo da ottenere la distanza emotiva di cui hanno bisogno l’uno rispetto all’altro, considerando i desideri ineguali di chi lascia e di chi viene lasciato, e permettendo allo stesso tempo agli ex-coniugi di lavorare insieme anche se in modo limitato come co-genitori? Sì, esiste un modo, e le mie ricerche dimostrano che funziona. Nella mediazione emotivamente informata, spingo i genitori a stabilire una nuova relazione tra loro a livello professionale. I confini della relazione sono esattamente come quelli di altre relazioni professionali: distanti, formali, educati e inflessibili.
Nello spiegare le ragioni del perché una relazione professionale sia la migliore, di solito traccio su una lavagna il semplice diagramma che si trova in figura 4. Spiego che le relazioni sono come fiumi. Cominciano con una relazione professionale, scivolano nell’amicizia, e in pochi casi speciali l’amicizia confluisce in una relazione intima. Dico anche che la corrente è molto forte nel fiume delle relazioni e che le persone non possono nuotare controcorrente. Una volta che l’idillio finisce, dobbiamo uscire dal fiume e ricominciare tutto da capo con una relazione professionale. Questa può diventare, di nuovo, amicizia ma ciò non è necessario né costituisce l’obiettivo cui tendere. Il fine è per gli ex-coniugi diventare soci in affari nella cura genitoriale dei figli.

Si deve notare che questa soluzione non dà a chi lascia l’amicizia che voleva, né al lasciato la relazione molto intima o molto lontana che desiderava. Tuttavia, questa soluzione dà alla coppia la distanza necessaria nella loro relazione, e allo stesso tempo, incoraggia i genitori a cooperare sull’unica questione sulla quale i genitori devono cooperare: i figli. Il successo di questo approccio nel rinegoziare i confini della relazione di coppia, e della mediazione emotivamente informata in generale, è evidente nei miei studi su follow-up a lungo termine. Dodici anni dopo aver risolto la loro disputa sul divorzio e la custodia dei figli, i genitori non affidatari (che non hanno i figli con loro per la maggior parte del tempo) che a caso erano stati mandati in mediazione, mantenevano livelli sorprendentemente più elevati di contatto con i loro figli, rispetto ai genitori non affidatari che, sempre casualmente, avevano lavorato solo in sede legale. I genitori non affidatari che nella mediazione avevano divorziato dall’ex-coniuge, ma non dai loro figli.

Cosa funzione nella mediazione emotivamente informata?
Naturalmente, c’è molto di più nella mediazione, inclusa la mediazione emotivamente informata, che il gestire il dolore e definire nuovi confini intorno alla relazione co-genitoriale. Dal mio punto di vista, i principali elementi del processo includono la stimolazione di idee, l’approccio cooperativo alla mediazione, l’esperienza del mediatore sia negli aspetti legali che in quelli psicologici, e l’impegno del mediatore a rendere migliore la vita per i figli di famiglie divorziate (Emery, 1998, 2004). Ciononostante, dalle mie ricerche, dalla mia esperienza professionale di lavoro con migliaia di famiglie, e dalla mia vicenda personale di padre divorziato, traggo la convinzione che affrontare le emozioni e stabilire nuovi confini costituisca il nodo critico per far sì che il divorzio funzioni per i bambini.

Robert Emery

In Mediazione Familiare Sistemica 3/4, 2005-2006