Mediazione familiare e mediazione civile perchè la prima è facoltativa e la seconda obbligatoria

Mediazione familiare e mediazione civile perchè la prima è facoltativa e la seconda obbligatoria

Quando con il decreto legislativo del 4 marzo 2010 è diventata obbligatoria la mediazione per controversie di natura civile e commerciale, qualcuno si è chiesto perchè questa regolamentazione o obbligatorietà non abbia toccato la mediazione familiare (per un maggior dettaglio sugli aspetti giuridici delle due mediazioni consiglio questo link). La mediazione familiare è stata lasciata alla discrezione dei coniugi, di qualche avvocato “giudizioso o premuoroso” o di qualche giudice che, in sede di giudizio, invita le parti a trovare un accordo, ammesso che abbia senso attivare questa fase in tribunale. In questo caso, la mediazione giunge dopo fiumi di memorie di “controparte” dove anche i nomi dei coniugi passano in secondo piano e dove i figli piccoli diventano “minori” . La depersonalizzazione della relazione a quel punto è ormai compiuta e carte su carte, a distanza di mesi, arrivano davanti a giudici annoiati e oberati dallo stress di un corridoio di coppie in lista d’attesa che sperano nell’ascolto, ma si vedono liquidare inevitabilmente in pochi minuti. Tra una memoria e l’altra le cause di divorzio possono durare anche 10 anni, mentre i figli stanno a guardare, mentre i giudici rimandano le udienze, mentre uno dei due coniugi rischia di rimanere senza casa e non avere più i soldi per mantenersi. Quel che è peggio, poi, è che c’è chi non riesce più a vedere i propri i figli. Il tutto mentre gli avvocati si addentrano nelle pieghe del disagio di relazione, come bulldozer, usando codici e non tecniche di comunicazione, facendo affiorare il peggio da ognuna delle controparti in nome della difesa, ormai anche loro armi, più o meno consapevoli, di clienti illusi di trovare il riconoscimento delle proprie ragioni in un’aula di tribunale.

Le cause di divorzio si moltiplicano, oberano di carte i tribunali, alimentano la conflittualità sociale e la spesa pubblica, inficiano la serenità dei nostri figli, rischiano di minare la serenità economica dei coniugi e spesso le statistiche testimoniano che creano nuove situazioni di povertà e disagio sociale (L’Espresso).  Personalmente, da un percorso come psicologa, poi come giornalista, comunicatrice e mediatore civile, mi chiedo dunque perchè non valesse la pena, da parte del legislatore o del politico, investire attenzione e risorse anche sulla mediazione familiare. La mia analisi parte dalla lettura di concetti espressi negli articoli della costituzione della Repubblica Italiana:

Art. 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturalefondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Art. 30.

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art. 31.

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Le parti che ho evidenziato in grassetto mettono in luce il nostro modo di intendere la “famiglia” e le contraddizioni interne. E’ evidente il concetto di“naturalità” , sebbene si precisi sia fondata sul matrimonio che è invece “un’istituzione” , sottolinea il rapporto di egualianza tra coniugi, sebbene evidenzi una particolare attenzione verso madri e figli, antepone l’ugualianza morale a quella giuridica, parla di garanzia dell’unità familiare e lascia, alla libera estensione del concetto, la difesa di questa unità anche fuori dal matrimonio, stabilisce diritti e doveri dei genitori e non dei figli, tant’è che figli di separati o divorziati vengono mantenuti anche quando hanno superato ampiamente la maggiore età, mentre in seno ad una famiglia, non separata o divorziata, chiunque concorderebbe in un sano distacco da un “comodo cordone ombellicare”(leggi).

E’ forse questa “naturalità” che non vuole vedere imposizioni circa l’obbligo di tentare una mediazione in caso di separazione o divorzio? Ovvero liberi di scegliersi e liberi di dividersi? In questa “naturalità” vi è forse insito e lecito il conflitto? Oppure è per il vincolo del matrimonio, in cui si fonda la famiglia socialmente riconosciuta, che il fallimento è preferibile che venga lasciato “ingestito” per dimostrare a questa organizzazione sociale che chi è “fuori dal matrimonio”  vada lasciato nel suo conflitto e fallimento individuale e sociale?

Se l’obiettivo della mediazione civile obbligatoria era ridurre i contenziosi giudiziali e le relative tensioni sociali avvicinando i cittadini verso una gestione dei conflitti extragiudiziale, perchè proprio la famiglia è stata esclusa da questo intervento? Hanno forse più importanza le tutele dei consumatori e le soluzioni delle liti condominiali rispetto ai litigi familiari? Non è forse la famiglia il luogo in cui il cittadino si forma e apprende la socialità? La mediazione familiare non può essere abbandonata all’ignoranza.  Ci sarebbe tanto bisogno di un’educazione nella gestione dei rapporti famigliari e nel diritto e dovere di coniugi e figli. Bisognerebbe parlare non solo di educazione sessuale, ma di educazione alle relazioni affettive. Si sarebbe dovuto parlare di questo anzicchè spendere circa 3 anni fa i soldi per campagne di comunicazione sociale atte a far conoscere la legge sullo stalking e istigare a denunciare maltrattamenti. Almeno non solo.

Le separazioni e i divorzi hanno avuto crescite esponenziali negli ultimi anni. Le aule dei tribunali sono piene di cause a dir poco allucinanti. Nella famiglia non ci sono risarcimenti  danno che tengano perchè ci sono di mezzo gli affetti più cari, i legami che, seppure deteriorati, hanno comunque spesso dato origine a figli che diventano emblemi di quei fallimenti, cimeli di amori defunti, trofei e vittime.  Mi domando allora come potranno questi figli essere buoni compagni di vita e genitori, come potranno credere nel potere della parola e del dialogo senza smentire la stessa volontà del legislatore nell’obbligatorietà della mediazione civile. Troppe volte mi sono vergognata della falsa emancipazione femminile leggendo di cause di divorzio emblematiche. Storie di donne che urlano nelle piazze contro la donna oggetto e poi, quelle stesse donne, nel ruolo di madri, che esigono dai giudici la dipendenza economica da uomini che detestano, per pura vendetta, dimenticando di essere un esempio contraddittorio per le loro figlie, un esempio sociale sbagliato.

La risposta a tutte queste domande sta nella nostra cultura. Siamo un Paese che per decenni ha educato la coppia a costituirsi, ha stabilito rituali di corteggiamento, di fidanzamento, figure che, specie nelle piccole comunità, aiutavano a “combinare” i matrimoni, ma da quando è stato legalizzato il divorzio ovvero più di 40 anni fa, non ci hanno mai educato a separarci, a gestire i conflitti familiari, ad accettare il fallimento di un progetto di vita in comune senza rinunciare al ruolo di genitori. La cultura familiare in realtà non si è mai laicizzata e non ha ancora saputo anteporre l’amore alla differenza tra i sessi, il verbo al numero, la semantica ai codici. Sta a ciascuno di noi imparare questo nuovo linguaggio e internet può essere un nuovo strumento di democrazia.

Melina Scalise

Fonte: http://giustiziamediazionecivile.wordpress.com/