Le reazioni comportamentali dei figli nei casi di separazione coniugale

Le reazioni comportamentali dei figli nei casi di separazione coniugale

La disgregazione del nucleo familiare sembra costituire per il bambino un evento disturbante. Presupponendo che ogni bambino, per uno sviluppo armonico della propria personalità, preferibilmente abbia la presenza delle due figure genitoriali, gli risulterà difficile, che ha vissuto con entrambi i genitori e che con essi ha costruito un rapporto significativo, vivere l’esperienza della separazione e/o del conflitto familiare.
Logicamente non si può considerare tale evento come un processo di automatismo e considerare, quindi, i figli delle coppie separate come potenziali soggetti a rischio. Come del resto non ci si può permettere il disconoscimento dei relativi problemi che esistono, ponendo così in essere deleteri meccanismi di rassicurazione collettiva e rimuovendo difficoltà che sono reali.
Per il bambino, specie se particolarmente piccolo, risulta sempre difficile distinguere le relazioni che intercorrono tra lui e i genitori e le relazioni intercorrenti tra i genitori stessi: se si modificano queste ultime, il bambino è portato a ritenere che si siano modificate anche le prime. Il bambino, inoltre, non sempre possiede quegli strumenti cognitivi sufficienti per elaborare la “perdita” di uno dei genitori e per comprendere le cause reali delle difficoltà familiari. Il bambino è spesso portato ad attribuirsi la colpa del fallimento dell’unione familiare, quanto meno perché non è stato in grado di farsi tanto amare da impedire la rottura. Vivere, inoltre, l’allontanamento di uno dei genitori come un abbandono, il che, in alcuni casi, innesca la paura del verificarsi di altri abbandoni nel proprio ciclo di vita.
La separazione dall’altro quasi mai è un evento improvviso, piuttosto si configura come un processo: quando la disillusione verso il proprio oggetto d’amore idealizzato diventa sempre più consistente e prende il posto della precedente speranza e voglia d’unione, la membrana diadica si scompensa e si deforma.. “Oggetti esterni vengono inclusi nello spazio diadico per sostenere la relazione coniugale che ormai non è più funzionale per le due parti. Il bambino viene fatto entrare nella collusione della coppia ed assume spesso la funzione di sostenerla con la sua presenza e come oggetto dei meccanismi di proiezione e di identificazione proiettiva” (Giannotti e Bucci, 1985). Infatti, ben prima che venga manifestata verbalmente l’intenzione di porre fine alla convivenza, si verificano all’interno della famiglia tutta una serie di squilibri relazionali e di carenze comunicative: i litigi divengono sempre più frequenti, le incomprensioni si dilatano, e ognuno compie i propri arroccamenti difensivi. Il bambino percepisce il clima di disagio che si respira in famiglia, pur senza ben capirne le motivazioni, ed il silenzio dei genitori ingigantisce il suo timore, soprattutto se nessuno sente il bisogno di spiegargli, con un linguaggio a lui comprensibile, cosa sta realmente accadendo.
Successivamente, quando ormai la rottura diviene manifesta e le due parti contendenti passano a rinegoziare i complessi rapporti personali e patrimoniali e a ridefinire le proprie posizioni familiari e sociali, il bambino, non solo diviene maggiormente consapevole della frattura familiare e del potenziale abbandono da parte di un genitore, ma sperimenta ancora di più sulla propria pelle i pesanti tentativi di alleanza che ognuno dei due genitori vuole instaurare con lui a scapito dell’altro. Molto spesso succede che il bambino viene manipolato per ottenerne l’affidamento e ciò non solo per affetto materno/paterno, quanto per una sorta di rivalsa: vincere la causa rappresenta l’ottenere il pubblico riconoscimento di genitore, e quindi anche di coniuge, adeguato. Il rapporto genitoriale, così pesantemente contestato, potrebbe risultarne in parte compromesso, perché il bambino tenderà ad assimilare le valutazioni negative espresse dall’altro genitore e sarà indotto a nutrire sentimenti negativi verso chi gli viene rappresentato come colui/colei che lo ha abbandonato.
Inoltre, l’affidamento della prole sembra risultare funzionale al bisogno di mantenere un rapporto che abbia un valore compensativo della relazione coniugale ormai dissolta.
Purtroppo succede che il conflitto coniugale si protragga anche dopo la sentenza di separazione ed il conseguente affidamento della prole. Il genitore affidatario tenderà ad ostacolare, anziché facilitare, i rapporti del figlio con l’altro genitore. Il non affidatario, da parte sua, reagisce spesso in maniera speculare, cercando di denigrare il genitore affidatario e approfittando delle necessarie limitazioni che il genitore affidatario impone al bambino per risultare ai suoi occhi come il genitore più liberale e amichevole.
Succede anche che il genitore non affidatario, interpreti le eventuali difficoltà relazionali con il figlio, dovute generalmente ad una insufficiente comunicazione e ad un rapporto superficiale con incontri fugaci e/o troppo programmati, come il risultato di un’azione di plagio da parte dell’altro genitore, con conseguente acutizzazione del conflitto.
Elizabeth Kubler Ross afferma che la separazione è vissuta dal bambino, soprattutto se molto piccolo, con un misto di emozioni che toccano il senso di abbandono, rabbia, frustrazione, sentimenti simili al dolore provato di fronte alla morte di una persona cara. Nonostante ci siano delle differenze sostanziali tra la perdita della famiglia d’origine e la morte di una persona cara, le fasi di adattamento e di integrazione alla nuova situazione possono risultare le stesse. A tal proposito si evidenziano cinque stadi di dolore del lutto che, trasportati nelle situazioni di divorzio, si dividono in:
1° stadio: negazione. I bambini rifiutano di accettare il divorzio genitoriale e la conseguente perdita di uno dei genitori, arrivando a negare la realtà della separazione.
2° stadio: rabbia. E’ frequente che i bambini in questo momento particolare della loro vita provino rabbia o ostilità nei confronti di uno o di entrambi i genitori, dei fratelli, delle sorelle, degli amici e persino di loro stessi, ritenendoli/ritenendosi la causa del conflitto e/o della separazione.
3° stadio: negoziazione. Alcuni figli, attraverso un cambiamento comportamentale negativo (es. ricatto emotivo) oppure positivo (es. alleanza manipolatoria), cercano di frenare il processo di separazione genitoriale o di posticiparne il distacco.
4° stadio: depressione. Si è rilevato che i bambini in questione hanno una probabilità maggiore di sviluppare sentimenti di abbandono, di paura e si dimostrano apatici.
5° stadio: accettazione. Con il passare del tempo, gran parte dei bambini sembrano riacquistare una sorta di equilibrio e sentirsi a loro agio nella nuova situazione familiare, potendo risperimentare sentimenti di conferma e di accoglimento affettivo.
I figli non arrivano ad una accettazione del divorzio dei propri genitori se prima non affrontano ed elaborano le varie fasi del dolore; come gli adulti, essi processano ogni sentimento passo dopo passo fino a che possono controllarlo, passando allo stadio successivo solo quando si sentono pronti. La cosa funzionale per i bambini e per i genitori è permettersi di soffrire poiché, solo in questo modo, è possibile superare il dolore della separazione.

E’ importante dire che i sintomi registrati non possiedono un carattere di specificità, nel senso che risultano correlati con l’età dei soggetti più che con l’evento determinante. Dai risultati di uno studio longitudinale di J.S.Wallerstein e J.B. Kelly, “Children of Divorce Project” (riportato in: Santi, 97), si riscontra che nei bambini molto piccoli (2-3 anni) compaiono frequenti regressioni comportamentali, come, ad esempio, un insaziabile bisogno di affetto e protezione,  succhiarsi il pollice, toccarsi in maniera compulsiva i capelli, in un ritorno ad oggetti transizionali primitivi, problemi di sonno, disturbi nel comportamento alimentare, nello svolgimento di elementari mansioni igieniche (es. incapacità di controllo sfinterico precedentemente acquisito), ecc.Questa sindrome regressiva può essere legata ad un processo chiamato “rupture trainante“, cioè ad un meccanismo psicologico, tipico della madre, che consiste nel riversare inconsciamente il rancore e il risentimento dovuto all’abbandono del marito sulle modalità d’attaccamento che essa intreccia col bambino. In modo inconscio e perciò subdolo e pericoloso, la madre tratta il bambino come essa stessa è stata trattata, suscitando nel bambino un sentimento di abbandono.Si è visto che questi comportamenti regressivi scompaiono dopo un anno circa dalla loro insorgenza, anche se rimane una sorta di generale “fame” di rapporti interpersonali, ad ogni livello e grado.

Nei soggetti più grandi (3-6 anni), le reazioni, a differenza del gruppo precedente, assumono caratteristiche meno regressive e più nevrotiche, infatti si osserva un aumento sostanziale del comportamento aggressivo. Questi bambini affrontano il trauma dellaseparazione con rabbia, manifestandola in modo diffuso e generalizzato, mordendo, ad esempio, i compagni di gioco, distruggendo oggetti, uccidendo dei piccoli insetti, ecc. Accanto a questa aggressività, si nota spesso una profonda paura di farsi male, mentre, generalmente, a questa età non ci si preoccupa affatto di sé e del proprio corpo. In questa fase di crescita, che coincide col primo sviluppo del Super-Io, si è notato che i bambini in esame si ritengono sleali e cattivi, si giudicano con severità e si creano un’immagine di sé negativa, atteggiandosi a responsabili della separazione dei genitori ed interpretando l’esperienza della separazione come una espressione di ostilità da parte dei genitori nei propri confronti.

I figli di età superiore (7-10 anni), che sono ancora più consapevoli della separazione genitoriale, manifestano principalmente sentimenti di tristezza, di dolore e, allo stesso tempo, di collera. Certo, anche nei bambini più piccoli si è potuto riscontrare un aumento del comportamento aggressivo dopo la separazione dei genitori, tuttavia, la rabbia dei più grandi è diversa in quanto è più consapevole, ben organizzata e diretta in modo preciso verso un oggetto (padre e/o madre). Inoltre, si è potuto osservare la comparsa di sintomi psicosomatici, di variabile intensità, che vanno dal mal di testa ai dolori di stomaco, asma cronica e crampi diffusi. 

Nei figli adolescenti la separazione coniugale può portare ad un aumento del senso diresponsabilità favorendo la loro maturazione psicologica ed emotiva oppure, viceversa, possono causare una sorta di blocco dell’autostima. Generalmente gli adolescenti avendo una comprensione maggiore degli eventi relativi alla separazione ed avendo anche interessi extradomestici, hanno anche una maggiore distanza psicologica tra se e i propri genitori. Tuttavia, i soggetti troppo legati emotivamente ai genitori e/o con pochi rapporti amicali manifestano disturbi di varia natura, quali, ad esempio, sintomi ipocondriaci (mal di testa, mal di pancia), comportamenti antisociali (piccoli furti, atti vandalici), alternanza tra fasi depressive e fasi di aggressività, fughe da casa, attuate spesso nel tentativo di richiamare l’attenzione di entrambi i genitori.

In un’altra ricerca, sempre volta ad indagare gli eventuali effetti che la separazione coniugale produrrebbe sui figli, la dott.ssa Ippolito è andata ad esaminare, attraverso il test grafico “Il disegno della famiglia” di Corman, un campione di 60 bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni. La letteratura scientifica al riguardo dimostra come la produzione grafica infantile permetta di rilevare l’esistenza di chiare differenze individuali legate ai propri vissuti familiari: il bambino, infatti, proietterebbe sul disegno della propria famiglia come lui vive e percepisce le dinamiche familiari esistenti.

Dal confronto dei disegni prodotti dai due campioni (uno sperimentale e uno di controllo), tenendo in considerazione età, sesso e classe di appartenenza dei soggetti, è possibile rilevare nei disegni dei bambini aventi famiglia unita una maggiore valorizzazione dei personaggi, un maggior uso di colori vivaci, una maggior cura dei particolari apportati ai personaggi, elementi che indicherebbero una buona affettività e un buon benessere interiore. Si è visto che essi disegnano generalmente entrambi i genitori e spesso con espressioni sorridenti e dinamiche (es. che si tengono per mano, che passeggiano), indice di un buon adattamento relazionale. Inoltre, i disegni sono in molti casi caratterizzati da dettagli e arricchiti dal sole, giardini, fiori, case, indice positivo dell’interiorizzazione che i bambini hanno fatto della realtà che li circonda.

Contenuto dei disegni

Bambini con genitori separati

%

Bambini con famiglia unita

%

Livello formale adeguato

56,6

96,6

Assenza di colore

33,3

10,0

Rappresentazione famiglia reale

83,3

100

Valorizzazione

dei personaggi

33,3

93,3

Valorizzazione

di sé

33,3

80,0

Omissione di uno o

di entrambi i genitori

43,3

Personaggi

cancellati

20,0

6,6

Tabella 1: Risultati della produzione grafica dei 2 campioni in esame. Fonte: portale di Psicologia giuridica.

Come si vede nella tabella n.1, nei disegni di bambini separati si riscontra una scarsa valorizzazione di sé, principalmente espressa nell’assenza di particolari con funzione distintiva rispetto agli altri personaggi, come, ad esempio, il colore di occhi e capelli o i capi di vestiario (67,7%), un utilizzo di colori più sfumati e freddi, o addirittura un’assenza di colore (33,3%). Appare, inoltre, peculiare una sorta di diffusa staticità dei personaggi disegnati e in alcuni casi (23,3%) tali personaggi sono raffigurati con occhi “vuoti”, cioè privi di pupille, particolare che non è stato rilevato in nessun disegno appartenente al campione di controllo. Questi disegni appaiono poi di livello formale meno evoluto rispetto a quello dei bambini con famiglia intatta. Infine, dato assai rilevante, il 43,3% dei bambini omette, nella rappresentazione grafica, il genitore non affidatario.

In uno studio di Della Giustina e De Renoche (1995) si sono analizzati, attraverso una serie di indagini diagnostiche e di osservazioni cliniche, le ripercussioni dell’evento di disgregazione familiare sui bambini nella fase di latenza. Si è voluto concentrare l’attenzione sull’età della latenza dato che viene comunemente considerata come una fase a basso rischio per la relativa assenza di conflitti manifesti: “i bambini di questa età sembrano maggiormente resistenti alle crisi di separazione, non esprimono, infatti, in termini eclatanti correlazioni evidenti tra trauma subito e disturbi comportamentali”.

Dalla ricerca risulta effettivamente che questi bambini tendono a manifestare un minor grado di conflittualità e, quindi, un maggiore adattamento nei confronti della situazione che stanno vivendo. La nuova realtà familiare sembra venire accettata e la sofferenza sembra essere assente o, quantomeno, non esplicitata, anzi la casistica indica condotte ai limiti dell’indifferenza e/o che si caratterizzano per aspetti di ipervivacità e di apparente allegria.

In questi comportamenti, per certi aspetti paradossali, si può leggere la reazione del bambino che, privato del guscio familiare protettivo e rassicurante, cerca di far fronte al mutare degli eventi, in una sorta di meccanismo di difesa, conformandosi il più possibile alle nuove dinamiche familiari e ricorrendo a strategie di alleanze alternate.

Il periodo di latenza che segna il declino della sessualità infantile corrisponde ad un intensificarsi della rimozione: “sulle spinte istintuali tendono a prevalere i sentimenti e compare il senso del pudore assieme alle prime aspirazioni di tipo morale ed estetico. In questo contesto caratterizzato da una trasformazione degli investimenti oggettuali in identificazione con i genitori e da uno sviluppo della sublimazione, il bambino è portato a reprimere i suoi bisogni ed a potenziare aspetti compiacenti, imitativi, rispondenti a quello che gli altri si aspettano da lui” (Della Giustina e De Renoche, op.cit.).

È evidente che sotto una sintomatologia apparentemente poco significativa, si nasconde una serie articolata di distorsioni emotive e relazionali. Una situazione rilevante come la separazione genitoriale non può non avere degli effetti anche in questa fase evolutiva: il bambino, dopo un primo periodo di disorientamento, è portato a potenziare i meccanismi di difesa tipici della fase di latenza e quindi a negare il suo sentire e a distorcere le sue cariche emotive. Infatti, ad una indagine approfondita il suo mondo interiore appare fortemente perturbato, i vissuti risultano pervasi da paure reali e irreali e affiorano conflitti di lealtà nei confronti dell’uno o dell’altro genitore.

Questi ultimi sono motivo di profonda lacerazione per il minore che, soprattutto se si sente oggetto di contesa, reagisce accentuando all’estremo l’alleanza con uno dei genitori, generalmente quello affidatario. Inoltre, la paura inconscia di ulteriori abbandoni non fanno che fossilizzare tali schieramenti, per altro carichi di ambivalenza, e portare alla manifestazione di sentimenti d’amore e di odio a senso unico. I ricercatori Guaraldi, Venuta e Uguzzoni, dell’Università di Modena, hanno cercato di tracciare l’immagine che i figli hanno dei loro genitori separati. Al campione in esame, di età compresa tra i 9 e i 13 anni, sono stati somministrati una serie di test proiettivi: per la precisione il T.A.T. e le Favole di Düss. Dai risultati emerge, da una parte, una caratteristica prevalente di introversione/dipendenza e, dall’altra, un atteggiamento di piacere/ansia verso il genitore non affidatario. Inoltre si è rilevato la presenza di reazioni aggressive verso la famiglia e/o la scuola: questo può rappresentare un agire in termini aggressivi di un vissuto di deprivazione che investe la propria famiglia interna. La qualità di questa deprivazione, come suggeriscono le risposte ai test proiettivi, richiama la necessità di un “altro” fisico, corporeo, per il quale possano vivere le emozioni dei bambini. Non deprivazioni tanto per l’assenza di un modello pedagogico buono, ma deprivazione per il venire meno di una parte fisica del proprio mondo, in cui oggetti ed emozioni diverse si organizzano, parte che non appare compensata dai processi del pensiero secondario. Ci sembra importante a questo punto rilevare che “non è possibile pensare alla separazione come ad un evento puntiforme, atemporale, ma che questa vicenda assume, piuttosto, le caratteristiche di un processo e come tale si estende in un continuum temporale nel quale non è nettamente delimitabile da ciò che lo precede, la conflittualità intrafamiliare, né da ciò che lo segue” (Menegati e Arisi, 1988)

Non per altro, la maggior parte degli autori afferma chiaramente che il tema delle separazioni coniugali e delle relative influenze sui figli, possa essere affrontato solo attraverso il riconoscimento della complessità di esso, vale a dire come problema non più solo individuale o di coppia, ma multidimensionale e multifattoriale. Come afferma Giordano (1999), ciò non significa solo fermarsi ad esaminare il ruolo avuto nella genesi delle singole manifestazioni dalle problematiche socioeconomiche, culturali, transgenerazionali, e via dicendo, ma uscire da una lettura lineare delle casualità in atto.

Piuttosto che considerare l’evento separazione/divorzio genitoriale come mera causa dell’insorgenza nella prole di eventuali eventi psicopatologici e/o di disadattamento sociorelazionale, meglio tener conto dell’esistenza o meno di tutta una serie di fattori. È risultato che “è più deleterio per la salute psichica del minore vivere in una famiglia legalmente intatta, ma conflittuale, rispetto ad una famiglia separata ma sufficientemente stabile e serena. Inoltre, risulta importantissimo per il minore, il tipo e la qualità delle interazioni che si vanno strutturando tra i vari membri della famiglia, a separazione avvenuta, che non la separazione in sé” (Cigoli, 1997).

In linea con questi ultimi presupposti, la Ercolani e la Francescato (1994), al fine di verificare se avesse una influenza negativa sulla prole la separazione in quanto tale o, più semplicemente, il loro disaccordo e/o conflittualità, hanno svolto una indagine su un campione di 120 ragazzi (60 figli di genitori uniti e 60 figli di genitori separati), di età compresa tra i 7 e i 15 anni, residenti nel centro e nel sud Italia.

A ciascun soggetto è stata somministrata una batteria di test, tra cui la “Scala di percezione del conflitto familiare” (CPQ) di Emery e O’Leary, la “Scala di locus percepito di controllo del comportamento” di Connell e la “Scala sulle credenze circa il divorzio dei genitori” di Kurdek e Berg (quest’ultima scala è stata ovviamente somministrata solo ai figli di famiglie separate).

Dall’analisi dei risultati risulta che il conflitto con i genitori o tra i genitori è un importante predittore di alcune caratteristiche dei ragazzi, quasi sempre indipendentemente dal fatto che i genitori siano o meno separati. I figli di separati e di famiglie unite non si differenziano in nessuno dei vari aspetti del concetto di sé; la propensione ad avere buoni rapporti interpersonali appare non dissimile fra i due gruppi di soggetti. Anche la valutazione del proprio rendimento scolastico non presenta differenze significative. Le autrici della ricerca sostengono che, sulla base dei risultati ottenuti, non è tanto la separazione in sé, ma piuttosto il conflitto fra genitori e le eventuali difficoltà relazionali dei figli con uno o con entrambi i genitori, ad apparire correlati con problemi emotivi e di comportamento.

Anche Amar e collaboratori (op.cit.) mettono in rilievo il ruolo della conflittualità precedente, del divorzio emozionale, nella genesi della sofferenza psichica del bambino.

La prof.ssa Salerno (1999), dell’Università di Palermo, partendo dai recenti studi che riconducono gli effetti del divorzio sui figli principalmente come conseguenza dell’esistenza di conflitti intrafamiliari, è andata ad indagare il vissuto dei figli in età adolescenziale. Come abbiamo detto, obiettivo della ricerca era quello di analizzare l’influenza che il tipo di conflitto coniugale, nonché la modalità, da parte dei due coniugi, di gestirlo, esercita sulla salute psicologica dell’adolescente. Inoltre si è indagato il livello di soddisfazione familiare di tutti i componenti della famiglia e la qualità della comunicazione tra genitori e figli. Sono stati somministrati una serie di questionari, sia ai genitori che ai figli, ad un campione di 154 famiglie; i figli avevano un età media intorno ai 16,5 anni. Dai risultati si evidenzia che quando il conflitto coniugale si palesa con caratteristiche di particolare intensità e violenza, le difficoltà comportamentali dei figli vengono manifestate con maggiore frequenza. Inoltre è stato evidenziato che nelle manifestazioni di tali difficoltà esiste una correlazione legata al sesso del soggetto in esame: “le adolescenti, infatti, nell’esprimere il proprio disagio sembrano utilizzare una modalità più legata all’emotività rispetto ai maschi che tendono a rendere più manifesto il loro disagio utilizzando prevalentemente acting-out, comportamenti aggressivi e antisociali”.

Dai risultati inerenti il livello di soddisfazione familiare e la qualità della comunicazione esistente si ipotizza che le famiglie con un alto livello di conflitto coniugale siano caratterizzate da una struttura familiare ove le dimensioni della coesione, dell’impegno emotivo e degli scambi affettivi e comunicativi abbiano carattere di disimpegno e di superficialità; mentre le famiglie con un basso livello di conflitto coniugale appaiono più flessibili e più aperte all’interazione.

Anche l’opinione prevalente che per una crescita armoniosa il bambino avesse bisogno della presenza costante e contemporanea delle due figure genitoriali non sembra trovare accoglimento nelle recenti considerazioni teoriche. Una recente ricerca australiana condotta dalla prof.ssa Sue Spence, docente di Psicologia presso la Queensland University, ha rivelato come i figli di madri rimaste singles dopo la rottura del matrimonio non presentino un’incidenza maggiore in termini di patologie psichiche di natura depressiva o ansiosa rispetto ai coetanei di genitori non divorziati.

Sempre la prof.ssa Spence ha condotto un ulteriore studio su un campione di 4.000 famiglie e ha mostrato che gli aspetti problematici nei figli in termini di disagio psicologico compaiono soprattutto quando le relazioni della coppia genitoriale sono molto conflittuali e disturbate, al di là del fatto che i genitori siano separati o meno. La docente afferma che, il fatto che ci sia in casa un solo genitore, non rappresenta un problema per il bambino né un fattore di rischio, mentre è importante che questa figura genitoriale si mantenga stabile ed affidabile. Il rischio compare, invece, quando i genitori hanno atteggiamenti apertamente ostili, generando nei figli forme depressive di varia intensità. Quando poi queste tensioni si verificano nei primi 5 anni di vita del bambino e le madri e/o i padri stessi, a loro volta, hanno avuto disturbi depressivi o ansiosi, si è visto che questo si ripercuote in maniera rilevante nei figli durante la loro fase adolescenziale.

Il dott. Grimaldi, neuropsichiatra infantile, durante un recente convegno “Genitorialità e famiglia ricostituita” ha sottolineato come un idoneo sviluppo infantile si basi sulla compresenza nella vita del bambino dei seguenti fattori:

1.     continuità: coinvolge soprattutto gli aspetti pragmatici della vita del bambino, dove egli deve poter contare su solidi punti di riferimento come una casa dove abitare che riconosca come tale, precisi orari del sonno, dei pasti e degli svaghi e una routine che si ripete nel tempo e nello spazio;
2.     prevedibilità: riguarda la possibilità per il minore di saper pensare ad un domani simile all’oggi, con una cadenza sensata e prevedibile degli eventi; questo permette al bambino di sviluppare la propria capacità di controllare le situazioni e le  personali reazioni a queste;
3.     affidabilità, che è l’aspetto centrale; risulta fondamentale affinché i bambini possano sviluppare la fiducia nelle relazioni attuali e in quelle future: i bambini hanno bisogno di solidi punti di riferimento emotivi, di avere rapporti soddisfacenti e ricchi con le figure più significative.

Dalla panoramica fatta ci sembra di capire quanto risulti troppo semplicistico parlare di effetti distruttivi della separazione come evento in se. Risulta, perciò, realisticamente corretto considerare la problematica della separazione/divorzio nel contesto di un più vasto mosaico di variabili situazionali e relazionali, tra loro reciprocamente interconnesse. Per una sua piena comprensione sarebbe utile conoscere e considerare:

  •    la storia familiare: il tipo di famiglia, le dinamiche coniugali, quelle tra genitori e figli, la funzionalità dei ruoli assunti all’interno della famiglia da parte dei suoi componenti, con i relativi schemi comportamentali;
  •       la modificazione della struttura familiare, non riducibile alla semplice assenza della figura paterna o, in casi più rari, di quella materna;
  •     la ristrutturazione delle dinamiche familiari;
  •      il tipo di famiglia interiorizzata da parte del bambino;
  •    la qualità della relazione di coppia instaurata dopo la rottura del vincolo matrimoniale;
  •       l’esistenza o meno di rapporti stabili e adeguati fra i singoli partner ed il proprio figlio;
  •        le condizioni di salute psico-fisica del genitore affidatario, nonché dell’altro genitore, spesso stressati a causa delle circostanze;
  •      l’aver vissuto o meno, da parte di ognuno dei componenti familiari, altre esperienze “luttuose” o di forte impatto emotivo;
  •    l’esistenza e la consistenza di una rete relazionale familiare (nonni/e, parenti prossimi, ecc.) e/o amicale, funzionalmente presente attorno ai soggetti coinvolti nella separazione;
  •  valutazione del contesto sociale e culturale nel quale la famiglia ormai disgregata vive e/o andrà a vivere. 

Sembrano questi essere i principali aspetti rilevanti, in maniera più o meno diretta, affinché si attui un adattamento emotivo, comportamentale e sociale dei figli alla situazione di separazione dei propri genitori.

Michele A. Farris

31 gennaio 2003

In www.crimine.info 

1 Comment

  1. bonnet pas cher
    Gen 8, 2017

    Merci pour cet article